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Bleu
Questa esauriente descrizione a cura di Dante Goffetti è stata presa in prestito dal "blog di dante". in cui sono presenti altre interessanti schede storiche riguardanti le esperienze controculturali tra Mantova e Milano
<<Esattamente
quarant’anni fa, a Mantova, usciva il numero unico “Bleu”, un
giornalino di 6 pagine stampato in 1000 copie, ad opera di un gruppetto
di giovani che avevano come matrice comune l’esperienza
politico-esistenziale nel circolo anarchico “Gaetano Bresci”, fondato a
cavallo tra il 1968 e il 1969.
Ecco come parla di
“Bleu” Claudia Salaris, studiosa del Futurismo e delle avanguardie del
Novecento, nel suo libro “Controcultura in Italia 1967-1977. Viaggio
nell’underground” (con Pablo Echaurren, Saggi Bollati Boringhieri,
1999, pag. 185-187):
"Nell’area d’ispirazione
situazionista che si espande a macchia d’olio per città e regioni si
distingue anche Mantova, dove nel maggio del 1971 appare il numero
unico “Bleu”, una testata ripresa dall’edizione anastatica, appena
uscita [N.d.R.: reprint a cura di Arturo Schwartz, Mazzotta, Milano,
1970], dell’omonima rivista dadaista mantovana (1920-1921) di Aldo
Fiozzi e Gino Cantarelli, con le collaborazioni dell’empireo dadaista
(Louis Aragon, Paul Eluard, Tristan Tzara, Francis Picabia, Georges
Ribemont-Dessaignes). L’operazione può essere considerata come un
détournement editoriale, o un falso (genere che avrà grande espansione
nelle fanzine del ’77 e poi con le finte testate de “Il Male”).
(omissis) La ripresa della tematica dadaista con il clone di “Bleu” si
colloca in una deriva disseminata nell’immensa provincia italiana."
Ma com’era nato il nuovo “Bleu”? In proposito, ecco che cosa ne ricorda uno dei suoi redattori.
“Eravamo
al 2°-3° anno di università e il contatto con l’ambiente studentesco
incandescente di quegli anni, soprattutto a Trento e a Milano, aveva
fatto germinare in noi nuove idee. Se l’università era una fucina di
idee, era nella società in generale che si venivano affermando tra i
giovani nuovi modi di essere, di porsi, di fare, di relazionarsi tra
pari e con gli adulti. Questo contagio reciproco ci rendeva
insofferenti ni confronti degli orizzonti ristretti della nostra
piccola città provinciale, dei suoi costumi tradizionali, delle sue
abitudini piccolo-borghesi.” “A quel punto cominciò ad andarci stretto
anche il circolo anarchico “Gaetano Bresci”, che pure era stato per
noi, sul finire degli anni ’60 – inizio degli anni ’70, il vettore
delle nostre aspirazioni libertarie ed il veicolo della nostra prassi
politica anti-capitalistica. Decidemmo perciò di fare un giornale, un
numero unico (ma, nelle intenzioni, suscettibile di un seguito), che
fosse un po’ il manifesto delle nostre idee (in verità variegate e non
del tutto condivise all’interno del collettivo redazionale stesso).
Della trentina di persone che avevano fatto parte del Bresci nel
momento del suo massimo splendore, a forza di abbandoni (chi ci
lasciava per il movimento studentesco, per Lotta Continua o per i
marxisti-leninisti, chi invece rientrava nell’alveo della normalità),
eravamo rimasti solo in 6-7, quelli che -in un modo o nell’altro-
avevano trovato nel situazionismo (“scoperto” a Milano e a Trento) un
livello più alto e coerente di critica (“teorico-pratica”, come si
diceva allora) del capitalismo e del modo di vita borghese.”
“In
cerca di consigli pratici su come fare un giornale “alternativo”
approdammo all’ArcDo di Milano, un archivio di documentazione sulla
stampa prodotta dalla controcultura giovanile (il movement,
l’undeground, gli hippy, ecc.) e dalle organizzazioni politiche più
radicali e combattive allora esistenti in Italia e nei principali Paesi
Occidentali (Stati Uniti, Francia, Giappone, ecc.).” “L’ArcDo era
gestito da Gianni-Emilio Simonetti” [“Ideologo, artista in proprio,
organizzatore di situazioni, Simonetti segue una linea di intervento
diversificato che lo porta fuori dai recinti della pittura, nella
corrente del "fluxus", sulle onde della collana "nova musicha"
(Cramps), da lui diretta, in un’oscillazione continua tra superamento
dell’arte nel movimento e movimentazione dell’arte.”(opera citata, pag.
183)]
“Gianni-Emilio passava le sue giornate in
quelle stanze stipate di libri e giornali, in compagnia
dell’inseparabile gatto “Chou”, scrivendo e ricevendo compagni,
artisti, hippy, intellettuali, ecc. ai quali dispensava consigli
tecnici, precetti ideologici e aforismi sulla saggezza della vita. Ci
consigliò di adottare un nome per il nostro giornale che si
riallacciasse alle tradizioni rivoluzionarie della nostra città, per
dargli radici e allo stesso tempo rivendicare una continuità nella
ricerca della via della rivoluzione sociale. Anzi, fu lui stesso (che
probabilmente era a conoscenza della ristampa anastatica) a suggerirci
di rifarci ai dadaisti mantovani nella chiave del primato
dell’operazione sull’opera, e del non separare la politica dalla
trasformazione rivoluzionaria della vita quotidiana.”
“L’idea
ci piacque. Così ci recammo nella meravigliosa storica Biblioteca
Teresiana di Mantova e fotocopiammo una prima pagina del “Bleu”
(originale, mi sembra) per poter riprodurre il logo del titolo e lo
stile tipografico. Inoltre, tentammo – ma purtroppo con scarsi
risultati- di stampare le pagine con inchiostri multicolori (come il
terzo numero di Hit, l’“international underground counter-media” di
GES). "Bleu" fu stampato in 1000 copie che andarono rapidamente
esaurite, diffuse a Mantova, Trento, Milano, Pavia, attraverso i canali
delle amicizie personali, le assemblee studentesche, le librerie del
movimento (ad esempio: La Vecchia Talpa a Milano), le librerie
Feltrinelli, i concerti rock.”>> |