"Le fanze musicali "

(di Mauro Missana, da "Fanza Italia ", Arcinova Pordenone1992 )

Ritengo che un fenomeno molto importante come quello delle fanzine in Italia vada vissuto in maniera molto più spontanea, senza scadere nei chiusi intellettualismi che animano spesso la nostra scena underground. Chiusura che si avverte anche quando si parla di musica, senza considerare che le cose migliori sono partite da situazioni molto elementari e quindi spontanee. La storia delle fanzine musicali italiane rispecchia un po' quella del così chiamato "rock italiano", anche perché l'escalation di prodotti editoriali di carattere musicale è andata sviluppandosi in particolare dopo il punk, tramite delle fanzine che hanno seguito un percorso di tutto rispetto e di cui Rockerilla rappresenta senz'altro l'ideale: da paccone di fotocopie a rivista regolarmente in edicola da una quindicina d'anni. Ma i casi come questo sono assai rari, perché in Italia, a differenza di altri paesi non esiste una distribuzione indipendente seria e capillare e tra le fanzine musicali il tutto è ancora più difficile, perché non si è mai sviluppata una vera coscienza per il rock e l'underground in generale, al contrario di altre nazioni europee.

Le pubblicazioni indipendenti italiane del passato erano sempre infarcite di articoli alquanto variegati, allo scopo dichiarato di mantenere viva la coscienza politica, la musica quindi occupava soltanto gli spazi vuoti tra un articolo e l'altro e, magari, soltanto se c'erano dei presupposti di carattere socio-politico. Questo perché nella "penisola del sole" c'è sempre stata la "cazzosissima" abitudine di tingere tutto di qualche colore e quindi anche la musica patrimonio esclusivo ora di un movimento, ora dell'altro, ma in fondo manipolata sempre dalle stesse persone, che approfittavano - e lo fanno tuttora - di questa situazione di incertezza. In Italia quindi lo sviluppo di un certo settore critica veramente indipendente è stato francamente arduo, ostacolato da tutta una serie di puristi della carta stampata e fotocopiata, che, probabilmente (e in qualche caso la manifestazione del malessere era palese) nascondevano i loro limiti.

Uno dei punti a sfavore, nei confronti delle pubblicazio d'oltreoceano era dato anche dalla scarsa penetrazione a interno dei mercato (brutta parola in questo periodo, ma necessaria per spiegare), costituito dal pubblico potenziale di queste pubblicazioni. C'è da dire a giustificazione di questo lento sviluppo di una critica musicale fanzinara, che dalla fine degli anni settanta si è partiti quasi da zero, perché i pochi esempi provenivano da pubblicazioni nate Come riviste a diffusione nazionale, come Gong e Re Nudo, oltre a quelle di massa come Ciao 2001, Nuovo Sound, Popster e poco altro. C'erano anche pochissime etichette indipendenti (quando lo erano), parte delle quali legate a gruppi politici o di potere e le opportunità per i gruppi italiani erano alquanto ristrette. Fu infatti dopo la rivoluzione punk del '77 che in Italia iniziarono a comparire, a Milano, fanze importanti come Dudu, poi Pogo (c'era anche Enrico Ruggeri) e Il Sigaro D'Italia. A Bologna Harpo's Bazar seguiva invece l'evoluzione di quella scena musicale e della Italian Records a cui era legata a filo doppio, mentre Punkreas copriva il primo punk e l'ala legata agli Skiantos (anche nell'ironia bruciante dei testi). Oppure Pordenone e Udine, dove la genialità istrionica di quelli legati al Great Complotto aveva permesso di mettere in piedi molte pubblicazioni (50%, 100%, Musique Mecanique, Spill On e parecchio altro), che, se da un lato facevano il versaccio a quelle londinesi, dall'altro rappresentavano degli utili strumenti di lettura per meglio comprendere il periodo. Citare tutti è quasi impossibile, anche perché i nomi sarebbero tanti, ma vorrei spezzare una lancia per Rockgarage di Mestre, una delle più interessanti fanzine dei primissimi anni ottanta, la quale allegava anche dei prodotti discografici con gruppi italiani, ma che già dai contenuti rivelava una maturità incredibile (tra i curatori della stessa c'erano anche Luciano Trevisan "Fricchetti" e Marco Pandin). All'interno innanzitutto le nuove ondate musicali, ma c'era spazio anche per i fumetti. Si ricorda con piacere anche il Red Ronnie's Bazar, uno dei primi esempi di fanzine concepita con canoni professionali, in cui alcuni numeri mografici venivano dedicati ai personaggi di primo piano della new wave del tempo. Com'è finito Red Ronnie lo sappiamo benissimo, anche se non ci sentiamo proprio di condannarlo a morte (la voglia di fanzine gli era rimasta, ma il tentativo maldestro di Be Bop A Lula non ha soddisfatto nessuno, neanche le ragazzine in età puberale, visto che è sparita nel nulla).

Ma è dopo la prima sbornia musicale degli anni ottanta che il fenomeno delle fanzine in Italia comincia a farsi sentire in forma massiccia, in particolare con le prime punkzine, poi portatrici del verbo hardcore, che negli anni ottanta sono sorte come funghi ad ogni angolo della penisola, promuovendo spesso gruppi dai fin troppo evidenti limiti stilistici e miscelando il tutto con i classici temi del periodo: l'antimilitarismo, la coscienza ecologica e il rifiuto dell'autorità di ogni tipo. Purtroppo dall'entusiasmo degli inizi poche si sono salvate, anche a causa dello spostamento di interessi all'interno della scena dei Centri Sociali verso il rap e l'hip hop in tempi più recenti, ma l'esempio che hanno dato è stato grande. Al tempo erano espressione di piccoli gruppi, di centri sociali, di programmi musicali, oppure di singoli che vedevano nella punkzine un modo di uscire dall'isolamento della provincia italiana. Molte non si limitavano all'aspetto puramente musicale, il che arricchiva notevolmente il loro valore (alcune affrontavano i temi anarchici con una lucidità incredibile) e, pur difficili da leggere a causa della grafica spesso caotica, hanno senz'altro rappresentato uno dei momenti migliori per la diffusione delle fanzine in Italia, anche grazie al potente circuito dei centri sociali e della solidarietà ai concerti. Citarne alcune significherebbe fare torto alle molte altre (Nuova Fahrenheit, Insubordinazione, Disforia e Nashville Skyline sono state tra le mie letture; ma qui scadiamo nel personale), anche se da noi i livelli di Maximum Rock'n'roll e Flipside non sono mai stati raggiunti.

Un esempio di longevità è quello di Road To Ruin, nata nel 1978 in Abruzzo dalla mente fervida di Marco Sigismondi e tuttora in vita giunta al numero 106, dopo la fusione con Tommy Magazine. E' l'unico esempio di fanzine ancora in vita dal periodo punk '77, con la continuità di una rivista, ma una mosca bianca, anche perché la scelta di rimanere sempre entro ambiti underground ha concesso al suo ideatore di rimanere aggiornato, cambiando anche l'impostazione musicale (dal punk si è passatial new sixities, poi al rock italiano, migliorando anche l'oscena grafica) e ribadendo che l'entusiasmo è l'unica maniera per continuare questo tipo di attività. Importante anche l'escalation di Urlo, fanzine ideata nei primi anni ottanta da Vittorio Amodio sotto la denominazione di Urlo Wave, poi abbreviata per costituire la prima fanzine/rivista (è ardua la definizione allo stato attuale) interamente dedicata al rock italiano. Considerando che proviene da Taranto è che possiede anche una sua appendice radiofonica, il lavoro di Amodio ha del miracoloso, considerando la caparbia con cui è stato portata avanti in questi ultimi anni tra mille difficoltà, su cui pesa innanzitutto la distribuzione, vero cruccio nel settore e già rilevato più volte in questo breve scritto. Ora Urlo, secondo le ultime indiscrezioni che ho ricevuto, dedicherà dello spazio anche a gruppi esteri scelti nel sottobosco più sotterraneo.

I due casi che abbiamo citato sono due esempi, pur nell'entusiasmo di Road To Ruin (con gli evidenti limiti che può apportare) e la ricerca di uno spazio alternativo di Urlo approdando alla professionalità, di come creare una pubblicazione richieda anche un'esperienza di fondo e la capacità di ricercare i collaboratori giusti. Problema che si pone spesso, in quanto il giro è molto chiuso e l'ambizione massima dei singoli "giornalisti da fanzine" rimane sempre la possibilità di riuscire a scrivere un paio di recensioni per le riviste in edicola, magari per poter ricevere i dischi in forma gratuita dalle indies. Un mercato di per sé limitato, dove le major si stanno accorgendo soltanto adesso della potenzialità delle fanzine musicali, quando il fenomeno si è quasi spento.

E pensare che già negli anni ottanta esistevano delle ottime pubblicazioni come Fire (sparita nel nulla dopo tentativi di affermazione che avevano portato la pubblicazione ad alti livelli), Stay Free, Slang, Komakino (tutte di Milano), Snowdonia (di Torino), Lost Trails (la fanzine del bizzarro Claudio Sorge, oggi direttore di Rumore), Fermenti (dal Sud), Ars Moriendi (da Firenze), tanto per citarne soltanto alcune, che non avevano poi molto da invidiare alle riviste presenti in edicola, a parte le possibilità economiche. C'erano molte interviste in esclusiva, anche con grossi nomi internazionali, e parecchi critici musicali delle attuali riviste hanno iniziato proprio su quelle pagine.

Poche e sfortunate sono state le iniziative uscite dallo stretto anonimato dell'underground e alcuni tentativi sono falliti miseramente, come quello di Vinile, che rappresentava un modo nuovo di vedere la critica musicale in Italia, con parecchie stroncature, fatto inconsueto, visto che le piccole fanzìne in genere coltivavano un orticello proprio (inevitabile, d'altra parte), fatto di gruppi sconosciuti e a volte decisamente di pessima qualità. Vinile rappresentava un esperimento nuovo, ma le ambizioni si scontrarono ben presto con un mercato ristretto e ottuso come quello italiano, troppo abitudinario ed esterofilo. Anche l'esperimento della prima free press'zine italiana, non strettamente musicale, ovvero Stress, non ha trovato ampio riscontro, soprattutto non appena gli stessi editori hanno rivelato la catastrofica situazione finanziaria. E pensare che la ricevevano direttamente a casa decine di migliaia di persone in tutta Italia. Il tutto si avvaleva anche di una serie di redazioni regionali e di altri collaboratori sparsi in tutta la penisola. Un'esperienza sfortunata, nata però sempre dalla sopravvalutazione del pubblico italiano, non abituato a questo genere di esperimenti.

Sono sorte anche fanzine che hanno accettato da subito di seguire una particolare corrente musicale, oppure di occuparsi di un singolo artista o gruppo (anche underground, spesso compilate dai gruppi stessi in forma di newsletter) e in questo senso il lavoro di alcuni fans club è stato illuminante, con dei buoni risultati come nel caso di Wooden Nickel, per esempio, dedicata al culto dei CSN&Y (ottima per comprendere il periodo). Con il moltiplicarsi dei fans club, le fanzine di questo tipo hanno fatto una specie di salto di qualità, anche dal punto di vista della confezione, funzionando non solo come semplici bollettini, ma cogliendo anche molti aspetti inediti dei vari artisti e presentando molte anteprime, in anticipo addirittura rispetto alle riviste in edicola. Padre protettore di questo tipo di fanzine è senz'altro da considerarsi Giancarlo Passarella, giornalista, già conduttore radiofonico a Raiuno e in radio e televisioni private, che da sempre ha studiato e catalogato il fenomeno, forte anche lui dell' esperienza di una fanzine dedicata ai Dire Straits chiamata Solid Rock. Il suo lavoro ha permesso una sistematica, anche se talvolta imprecisa, catalogazione dei fenomeno delle fanzine musicali, purtroppo così complesso in Italia, anche a causa di, mezzi di collegamento e della mancanza di una rete di vendita. Ed è proprio il problema della distribuzione quello che i produttori di fanzine dovranno affrontare in forma più urgente, in quanto l'entusiasmo iniziale si è lentamente raffreddato.

Se le fanzine a fumetti possono contare su un solido circuito rappresentato dai sempre più numerosi negozi specializzati in comix, non si può dire altrettanto per quelle musicali, spesso relegate ai soli negozi di dischi e alle librerie, che si rivelano inadatti come mezzi di diffusione, troppo presi da altre situazioni. Ciò non toglie che fanzine dedicate ai graffiti e al rap/hip-hop stiano vendendo bene anche in questa situazione critica, come ad esempio Aelle, dedicata in particolare ai "terroristi con lo spray", approdata pure in edicola. L'arma della specializzazione musicale, unita ad un approfondimento sull'argomento, magari con degli esperti dei settore, potrebbe rivelarsi una delle strade da seguire più proficue, senza dimenticare la spontaneità, ma abbandonando i purismi, che di per sé sono indice di chiusura totale. Gli esempi che ci arrivano dagli Stati Uniti in particolare, ma anche da Gran Bretagna, Francia, Spagna e pure Grecia (mai visto The Merlin's Music Box?), sono assai illuminanti, per conoscere meglio tali mezzi di diffusione. Quel che in Italia si continua ad ignorare è appunto l'aspetto tecnico, dedicato allo studio dei i goli fenomeni e quindi legato anche alle possibilità di miglioramento. Se in altre nazioni anche musicisti di grossa caratura nutrono profonda stima nei confronti delle fanzine, come mezzo per raggiungere gente interessante, qui da noi non sempre succede, a scapito anche della qualità di queste stesse pubblicazioni indipendenti.

Non togliamo comunque alle fanzine italiane il merito (?) di aver fatto conoscere gruppi come Litfiba, Diaframma, Settore Out, Timoria, C.S.I., Gang e molti altri, prima del passaggio alle major e quindi del travaso di notizie sulle riviste a grossa diffusione. In fondo le 'zines hanno soltanto assolto il loro compito nel periodo in cui queste stesse formazioni operavano a livello underground come spontaneità e metodi di lavoro.

La penuria di materiale che rende edotti sull'argomento in Italia è un altro dei problemi di non facile soluzione: se si eccettua lo splendido lavoro fatto da quelli che hanno curato l'agenda "Furiosa '93" c'è pochissimo altro, salvo qualche articolo sui giornali nazionali, brevissime sezioni in libri dedicati al rock in Italia e questo catalogo che esce annualmente e che ospita anche il mio intervento. Importanti potrebbero rivelarsi le mostre di fanzine e dei convegni dove poter approfondire l'argomento, troppo sottovalutato anche dagli addetti ai lavori.

I mezzi odierni, tra l'altro (computer, ottimo software alla portata di tutti, prezzi molto più bassi per la stampa, fax, ecc ... ), permettono un accesso a un prodotto più curato che, per essere maggiormente abbordabile dai potenziali fruitori, non deve fermarsi alle parole scritte, ma deve nascere dalla sinergia di quelli che scrivono e dei grafici emergenti, che possono manipolare abilmente la fanzine e renderla più interessante. Se penso alle moltissime nottate insonni dedicate a dattiloscrivere e alle ore perse a fotocopiare in copisterie piene di universitari che mi tempestavano di domande, mi prende un groppo in gola. E' la vita!

Ma è una specie di Factsheet Five italiana, ovvero una pubblicazione che parla esclusivamente di fanzine, come negli U.S.A., dividendole per sezioni, che potrebbe rivelarsi quindi molto utile per scoprire questo mondo variegato, che spesso parte da programmi radiofonici, per svilupparsi in maniera multimediale prima sulla carta stampata e poi in altre direzioni. La funzione di collante tra le varie situazioni locali (i gruppi, i posti dove si suona, ecc..), potrebbe essere un altro dei possibili sviluppi per le fanzine musicali. L'esperimento che ho tentato a Udine per due anni, ogni mese, ne è un esempio tra i più significativi. Pur non essendo un editore puro, ho messo in piedi, assieme ad un amico, una fanzine (e il termine è esatto, data la sua valenza underground) che in breve ha raggiunto una tiratura di qualche migliaio di copie, ricercatissima da tutti gli appassionati di musica, per la presenza dell'elenco dei concerti, di articoli di approfondimento, recensioni ed interviste a gruppi locali e nazionali. In poche pagine molto materiale da consultare, diffuso gratuitamente grazie a locali, negozi e alla presenza dell'università. Le spese venivano coperte con degli sponsor, praticamente degli amici, con delle possibilità di sviluppo non disprezzabili, pur rimanendo nell'ambito underground. Un'esperienza che potrebbe essere potenzialmente riprodotta in qualsiasi città o località dove è presente una piccola scena locale, utile anche come mento critico per la crescita musicale, oltre che per l'informazione solitamente asfittica da parte dei quotidiani locali che dedicano poche pagine agli spettacoli e quindi sparute colonne, quasi casuali, alle formazioni musicali locali.

La quantità di fanzine musicali presenti nella penisola è ancora sufficientemente alta, ma non sembra destinata ad aume ntare a breve termine, dato il momento incerto. Una cosa che viene spontaneo annotare è che talvolta la qualità è superiore a quella del passato: c'è maggiore spirito critico e anche dell'umiltà di fondo, uniti alla consapevolezza dell'importanza delle pagine che si stanno creando e ai poche mezzi tecnici superiori.

In un periodo in cui tutto viene costruito per essere consumato sempre più velocemente non è di sicuro poco.